Festa del Santo Patrono

La cittadina celebra il suo Santo Patrono nella quarta domenica di luglio, con solennità civili e religiose. Tale data fa riferimento al luglio del 1724, quando uno dei figli del duca Marulli portò nella cittadina una reliquia di San Cesario, che lui, cavaliere di Malta, aveva ottenuto dalla chiesa di Lucca.

San Cesario, di probabili origini africane, ritornato in Terracina, si dimostrò subito fervente cattolico, sino a raggiungere il diaconato.
Fu accusato di lesa maestà e di alto tradimento perché si oppose a sacrifici umani agli déi pagani. Correva l’anno 107 d.C., essendo imperatore Traiano, e il giovane diacono fu condannato ad essere precipitato in mare, rinchiuso in un sacco appesantito da pietre, sino al sopraggiungere della morte. Gli fu compagno di martirio San Giuliano.

Il martirologio cristiano ritiene essersi verificato tale evento, rapportando l’odierno calendario a quello romano, il 7 Novembre del 107 d.C.Quindi, la vera solennità del Santo Patrono si dovrebbe festeggiare in tale data.

In effetti, nella nostra località si celebra, sempre con solennità civili e religiose, “San Cesario de lu sindacu” che , nell’edizione del 2000, ha visto la ripresa di una centenaria tradizione: l’apposizione di una corona floreale sulla statua del Santo, posta a 25 metri di altezza sul timpano della facciata della chiesa matrice.

Sino agli anni ’50 del secolo scorso si ricordava l’intervento miracoloso del Santo Patrono con l’accensione di numerosi falò.
Era “San Cesariu de le tridici fòcare”, a ricordo dell’intervento miracoloso del Patrono invocato il 21 Febbraio 1823, per il verificarsi di un tremendo terremoto.

Sentitissimo è nel paese il culto del Santo; nella Chiesa Matrice, per esempio, il Santo si presenta in facciata con una statua lapidea; sopra il grande organo monumentale, con una finestra policroma in vetri legati al piombo, che lo raffigura; nell’altare a Lui dedicato, con una grande pala d’altare, un busto in argento e con una statua lignea, opera dell’insigne scultore napoletano Nicola Fumo; nel vano sovrastante l’ingresso laterale, con un simulacro in cartapesta di buona fattura.

I locali ritengono il Patrono loro protettore da calamità telluriche e meteorologiche, anche perché la statua sul prospetto della chiesa, colpita alla fine dell’800 da un fulmine, non crollò, ma ebbe solamente una parte del viso sfregiata.

Ricerche e Testo di: Gianfranco Coppola

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Appunti per ricordare la Festa

La festa, prima che essere momento d’aggregazione e di celebrazione di ricorrenze sacre e profane, è occasione effimera, è spazio privilegiato in cui si esprime il dominio sull’immaginario. La pratica di addobbare le lieu de la fête è un filo rosso che attraversa pressoché invariato, se non negli aspetti tecnologici, più epoche storiche e trova nel Seicento la sua massima caratterizzazione: da motivo di curiosità creativa per stuoli di artisti e di artigiani, ingaggiati da prestigiosi committenti, a motivo di predominio ideologico, culturale e di ricchezza, la festa rinnova il suo fascino ora aristocratico, ora folklorìstico, ora ludico, senza soluzione di continuità.
E’ celebre, a tal proposito, la teoria seicentesca espressa del poeta Giambattista Marino (Napoli, 1569-1625) per il quale il fine ultimo della poesia e, più in generale, dell’arte “è la meraviglia”. In quest’assunto rientra a pieno titolo lo spazio della festa, memorabili quelle romane, allestite dal Cavalier Gian Lorenzo Bernini (Napoli, 1598-1680), “in cui la società si esprime a se stessa nella sua globalità gerarchicamente articolata”.
Lo spazio della festa, negando lo spazio del quotidiano, consente di tradurre al massimo il rapporto tra realtà e illusione, tra vero e verosimile, in un inestricabile groviglio di suoni, luci, colori, sapori, profumi, emozioni, immagini che toccano il limite dell’inganno dei sensi in un palcoscenico che si estende nelle piazze, nelle strade, nelle chiese e nelle case.
L’intera comunità è protagonista!
Ciascuno crea il mondo della meraviglia per sentirsi attore e spettatore, al tempo stesso, di magici ed effimeri giorni, fruiti in una sinestesia di sensazioni, in un sincretismo pagano e cristiano, vissuto come salutare antidoto alla quotidianità svilita dalla routine e dalle convenzioni.
Giorni in cui la comunità rivive emozioni, sentimenti religiosi, stati d’animo di riflessione verso eventi che appartengono alla sua storia.
Come ha osservato un eminente storico delle tradizioni popolari G. B. Bronzini “La festa come ogni dato culturale, non è mai annualmente uguale a se stessa…, varia col mutare delle condizioni economiche e sociali della comunità, migliora o peggiora d’anno in anno…Di qui la necessità di…seguirla e viverla nella sua ragione umana e sociale… La festa non è mai la stessa. In ciò consiste la storicità…”.

Edifici sacri esistenti:
– San Giovanni Evangelista (sec. XIII-XIV)
– Sant’Elia (sec. XVII)
– Cappella palatina di San Giuseppe, già di San Giacomo (sec. XVII non officiata)
– Cappella dello Spirito Santo (sec. XVII)
– Chiesa Matrice, Santa Maria delle Grazie (sec. XVII-XVIII)
– San Rocco (sec. XVIII)
– Cappella della Madonna della Neve (sec. XVIII non officiata)
– Maria SS. Immacolata (se. XVIII)
– SS. Sacramento e Sacri Cuori (sec. XIX)
– SS. Addolorata (sec. XIX Santa Rita)
– Cappella della Lacrima (“extra oppido”)
– San Salvatore (Sant’Antonio sec. XX)
– Chiesa Parrocchiale di Sant’Antonio ( sec.XX)

Confraternite: Immacolata; Sacri Cuori;

Società di mutuo soccorso fra lavoratori.

La festa “ranne” e i suoi retaggi

I festeggiamenti in onore del Santo Patrono, San Cesario Diacono e Martire, si svolgono nella quarta domenica di Luglio, giorno in cui si ricorda la traslazione della Santa Reliquia dal Palazzo Ducale alla Chiesa Matrice, avvenuta nel 1724.
La festa “ranne” (grande, la principale) è l’espressione del sodalizio sacro e laico, essa coniuga i due poli del potere: quello civile, un tempo rappresentato dai signori locali, i Duchi Marulli, oggi dal Comune, quello religioso, espressione della devozione verso il proprio Santo Protettore. La storia paesana annovera due altri festeggiamenti in onore del Santo che precedono questo della traslazione: San Cesariu te lu Sinnecu (San Cesario del Sindaco) e San Cesariu te le tritici fòcare (San Cesario dei tredici falò).
Il primo, si svolge tutt’oggi il 7 Novembre, coincide con la festa liturgica vera e propria. Data che ricorda l’anniversario del martirio del Diacono Cesario, avvenuto sotto l’Imperatore Traiano nel I secolo d. C.
In questa occasione è consuetudine rendere un omaggio floreale al simulacro lapideo del Santo collocato nel fastigio della facciata della Chiesa Matrice, a 25 metri d’altezza, rituale attualmente condotto, per ovvi motivi di sicurezza, con l’intervento dei Vigili del Fuoco.
Una volta il “rischio” di inerpicarsi a corpo libero fino alla sommità della chiesa, attraversando la stretta cornice marcapiano, era segno di profondo fervore religioso, un umano atto di devozione per invocare la protezione del Santo sui lavoratori che rischiano la vita svolgendo l’attività di muratori, carpentieri, scalpellini, imbianchini, ecc.
Il secondo, soppresso dalla Chiesa nel dopoguerra, si svolgeva il 20 Febbraio a memoria di un evento miracoloso avvenuto nel XIX secolo. Si tramanda che un violento nubifragio si era abbattuto sul paese e un fulmine aveva colpito sul volto, deturpandolo, la statua lapidea del Santo posta nel fastigio della Chiesa. Ad ogni ricorrenza gli abitanti delle tredici contrade dell’antico abitato si riunivano per pregare e accendere “le focare”, fascine di sarmento, in piazza o nelle rispettive vie:
San Gjuanne, Via Caponic,
Subbra ‘Llautu, Via Immacolata,
La Cruce te Lecce, Via Croce di Lecce,
Lu Puntune te Lecule, Via Lequile,
le Muline, Via Martini,
Santu Lia, Via Sant’Elia,
La Cannilora, Via Vincenzo Cepolla,
Santu Roccu, Via Dante Alighieri,
La Gjurdana e La Gjurdanella, Via Guglielmo Marconi,
Lu ‘Nfiernu, Via Cavour e Via Vittorio Emanuele II,
Le Puzze Noe, Via Giuseppe Mazzini,
Rethu la Chiesa, Via Duomo.

Il Comitato

Organizzare la festa per onorare il Santo Patrono è un lavoro lungo e impegnativo condotto da un comitato ufficiale, con sede propria, il quale può rinnovarsi d’anno in anno, ma anche rimanere in carica per più edizioni, specialmente se il suo operato riceve l’approvazione unanime della comunità.
Il congruo gruppo di volontari viene incaricato con effettiva nomina del Parroco, che n’è il presidente, approvato dal Sindaco, riconosciuto dai carabinieri guidato da un presidente delegato e coadiuvato dall’intervento d’altri simpatizzanti, sostenitori della festa patronale.
Ogni iniziativa è esaminata dal presidente perché responsabile nei confronti del Vescovo.
Al comitato, inoltre, spetta il compito di organizzare anche altri annuali appuntamenti di festa che il paese ciclicamente vive, come ad esempio l’antica e rinomata fiera di San Giuseppe della Stella, “la stiddra” che si svolge immediatamente dopo Pasqua, un tempo era un atteso appuntamento commerciale di scambi e prodotti locali.
La festa “ranne” (grande) nella sua storia ha registrato annate scadenti se non proprio nulle, com’è avvenuto dal 1976 al 1978, mentre nel 1979 è stata realizzata una “bella festa” che tutti ricordano come l’evento che finalmente aveva riannodato il filo spezzato della migliore tradizione.
Gli operatori del comitato, incaricato per l’anno in corso, che sono gli stessi degli ultimi anni, hanno rilevato, nella loro esperienza di organizzatori, la ripresa in gran stile dei festeggiamenti; grazie all’impegno profuso senza sosta è andata sempre più consolidandosi la fiducia nella possibilità di “fare una festa degna della tradizione del nostro paese…Una tradizione molto attesa dai cittadini, a conferma della proficua simbiosi tra fede e tradizione che il paese vive, come suo patrimonio storico, intensamente in un crescendo strabiliante. La festa è, infatti, fondamentalmente momento d’aggregazione e d’incontro e, con essa, San Cesario riscopre e fa suoi quei valori autentici, più che mai sentiti in una società alla ricerca di saldi punti di riferimento”.
Quest’atteggiamento d’unanime ammirazione, fiducia e sostegno della comunità nella realizzazione dei festeggiamenti in onore del Santo Patrono, è per il comitato motivo di orgoglio e incentivo, sempre crescente, per restituire in certezze programmatiche gli indimenticabili momenti di festa.

Il programma…

I giorni della festa sono tre e comprendono il sabato, la domenica e il lunedì.
Un manifesto sottoscritto dal Presidente e dal Comitato rende noto alla comunità e all’interland provinciale, il programma religioso, con i relativi appuntamenti liturgici e di preghiera, che hanno a compimento la solenne processione; il programma civile, con l’esibizione dei rinomati concerti bandistici, le manifestazioni culturali, canore e di divertimento, il tutto racchiuso in una folta cornice di sponsor , in fine, l’indirizzo internet per “esportare on-line” le immagini della festa e del suo luogo, un servizio virtuale utile per tutti i paesani nel mondo che sono impossibilitati di godere realmente della festa.

La solenne processione…

Nel primo giorno, il sabato, a conclusione della novena, si avvia la solenne processione: il simulacro in argento del Santo, portato a spalla dai fedeli devoti, è preceduto dalle Venerabili Confraternite dell’Immacolata e dei Sacri Cuori, dalle autorità religiose, che esibiscono il prezioso reliquiario d’argento (51×24 che contiene un pezzo d’osso del braccio di San Cesario alto un dito), seguito dalle autorità civili e militari, dalla cittadinanza e dalla banda che accompagna e conclude il corteo. Le principali vie del paese sono addobbate da un tripudio di coccarde, bandierine e ceri.
Al termine del percorso, mentre, nella luce fioca del giorno, si accendono le mille luci delle luminarie, in gloria e onore del Santo Patrono, la comunità sosta davanti al sagrato della Chiesa Matrice per ricevere la santa benedizione.

…e i festeggiamenti civili

Nel secondo giorno, la domenica, polo di attrazione è la piazza, al centro della quale, la cassarmonica ospita i musicisti che eseguono prevalentemente classici brani del melodramma italiano e di musica sinfonica: Cavalleria Rusticana, Aida, Tosca, Trovatore, Traviata, Norma, Rigoletto, Carmen, Lucia di Lammermoor, Gazza ladra; appuntamento attesissimo dagli amatori e affezionati estimatori raccolti in religioso silenzio intorno al tempietto musicale.
Al termine delle esibizioni il comitato fa gli onori di casa offrendo omaggi floreali e confetti ai concertisti, in una splendida cornice di luci, di applausi, di flash, assorbiti dai profumi dello zucchero a velo e delle nocciole tostate.
Un’attrattiva della festa, non meno attesa, è il LUNA PARK (le giostre), allestito in spazi urbani periferici, è un immancabile luogo di divertimento, un irresistibile richiamo per grandi e piccini, in esso una marea di convenuti annega nell’assordante frastuono delle “mixate” musiche alla moda, degli affumicati fast food ambulanti.
Nello sfondo nero della notte, chiudono lo scenario i variopinti giochi pirotecnici, che stupiscono tutti ed estendono nel cielo l’allegria e lo spazio della festa.
Le ditte dei fuochi d’artificio ingaggiate si sfidano, fuoco contro fuoco, in creatività e meraviglia.
Il terzo giorno, il lunedì, è caratterizzato dalla festa goduta soprattutto dai paesani, che assaporano ancora, nel salotto della piazza, la gioia di ritrovarsi in una dimensione magica.
La serata conclusiva è enfatizzata dalla presenza di cantanti prestigiosi che hanno lo scopo di aggiungere valore all’intera manifestazione, in una vera e propria inondazione di forestieri.

La questua

L’offerta libera di un obolo, è la condizione indispensabile per realizzare la festa, coinvolge tanto la gente comune, quanto enti privati, commerciali, artigiani ecc.. La raccolta dei contributi, in previsione di un preventivo di spesa, è un’operazione delicata e costante che si svolge periodicamente, ma con assiduità: in un primo momento, e specificatamente a partire dal primo di Ottobre, ogni venerdì, sabato e domenica di ciascuna settimana, i questuanti raccolgono le offerte in piazza; in un secondo momento, man mano che si avvicina la data della ricorrenza, questi passano per le case ogni domenica mattina; e in un terzo momento, nei giorni della festa il gruppo si mobilita per il rush finale, chiedendo ulteriori sottoscrizioni con la vendita di biglietti per la riffa di chiusura, resa appetibile dai prestigiosi premi messi in palio, che invitano i cittadini ritardatari all’acquisto dell’agognato biglietto vincente.

L’allestimento

Ogni anno cambiano gli scenari delle luminarie e dei giochi pirotecnici, la regia degli apparati è affidata a veri e propri professionisti del settore, che trovano espressione compiuta nel mezzogiorno d’Italia e soprattutto nel Salento.
Le vie principali e la piazza sono magistralmente addobbate con scenografie luminose multicolori, dai disegni modulari geometrici, architettonici e naturalistici.
La piazza diventa la scena urbana privilegiata per godere dei suoni, delle luci, dei colori, dei profumi, del passeggio, un luogo per vedere, e farsi vedere, per incontrarsi e, soprattutto, partecipare.
L’edizione 2001 è stata definita dalla stampa locale “un avveniristico giardino di luci”: il paese, come per magia, si è trasfigurato, agli occhi dei paesani e dei forestieri, in una reggia, proprio una piccola “Versailles”: il recinto a spalliera, alto circa 16 metri, imponente diaframma di luci, che lasciava intravedere la monumentale facciata del palazzo Ducale, ben si accordava, nello stile naturalistico, ai palmizi che decorano stabilmente la piazza in una simbiosi di artificio e natura.
E’ stato un allestimento dimostrativo dell’alto livello raggiunto dalle premiate ditte in questo fiorente settore economico-commerciale: le feste diventano le occasioni “piazze” per nuovi contratti, un terreno dove competere in ricchezza, gusto e fantasia.
Il fatto che nel Salento la maggior parte degli appuntamenti di festa patronale sono concentrati nel periodo estivo comporta una vera e propria competitività fra i comitati organizzatori degli altri paesi, i quali, per accaparrarsi i rinomati concerti bandistici, le luminarie più sfavillanti e sontuose, i fuochi d’artificio più suggestivi, si prenotano già prima di Natale, in una vera e propria corsa a scegliere il meglio.

Le luminarie

Il godimento della festa è sotto il segno della luce, che domina la notte, e della fantasia creativa, che si esprime nelle scelte cromatiche degli apparati luminosi.
Tra il secolo XVIII e XIX la città di Lecce vantava apparati effimeri di notevole portata per l’epoca, giochi pirotecnici, illuminazioni ad olio, archi floreali in stucco, cartapesta, legno, erano allestiti per arredare le vie durante le festività patronali.
In seguito, l’illuminazione ad olio fu soppiantata da quella a carburo e da altri combustibili, ma è con l’energia elettrica, negli anni Trenta del Novecento, che avviene la rivoluzione: strutture e apparati diventano sempre più evoluti e sofisticati, grazie anche alle nuove offerte del mercato in materia di lampadine, sempre più piccole con una gamma di colori sempre più ampia, di tralicci più agili e tessiture lignee segmentate che permettono molteplici e diversificate combinazioni.
Strutturalmente gli apparati delle luminarie ritrovano le radici in quei modelli della plastica lapidea barocca di cui il repertorio iconografico dell’epoca è sovrabbondante. Infatti, basta dare uno sguardo alle sontuose e ridondanti facciate delle nostre chiese non solo a Lecce, ma in tutto il Salento, per cogliere queste affinità di decoro e opulenza. Anche le sceniche macchine degli altari sono un punto di riferimento nell’immaginario popolare e artigiano della nostra terra. Valga a tal proposito un esempio emblematico di apparato pietrificato di tipo processionale come la facciata a giorno del Duomo leccese, peraltro secondaria anche se a prima vista sembrerebbe costituire l’ingresso principale, per accorgersi di quanto essa abbia servito da spunto per la realizzazione di apparati mobili. Del resto, un’altra ascendenza è da rintracciare nei retablos spagnoli, grandi ancone dipinte e scolpite, che con i nostri altari hanno molto in comune, se si tiene conto che il Salento gravitava nella politica del Regno di Napoli, soggetto al dominio spagnolo.
Tali scenografie permanenti serbano, in realtà, l’effimero tempo della festa per perpetuarsi, nella devozione, in eterno.
Nella seconda metà del XIX secolo, in concomitanza con lo sviluppo dell’architettura industriale e della disponibilità di materiali nuovi (ghisa, ferro, vetro) prodotti in serie, che hanno permesso la realizzazione di aeree strutture di gallerie, mercati, stazioni ferroviarie, ponti, anche gli apparati ornamentali, a mio parere, hanno subito tali influenze tecniche e stilistiche che le hanno affrancate da quelle ascendenze esclusivamente sacre.
Le premiate ditte che operano in questo settore hanno ereditato quest’arte diventata sì più sofisticata, ma profondamente debitrice di un’arcaica tradizione orale e manuale.
La tipologia delle luminarie si è col tempo codificata su alcuni elementi invariabili: l’arco, la galleria, il rosone, la spalliera, il frontone, la cassarmonica, la piramide o candelabro.
L’arco, formato da due squadri e da due mezzi archi, richiama l’arco trionfale di tipo romano che gli imperatori si facevano erigere per festeggiare il loro rientro vittorioso dopo le conquiste. Rimase, con la stessa definizione, come elemento architettonico nelle basiliche paleocristiane e cristiane e, quindi, convertito in apparato scenico e celebrativo per gli allestimenti effimeri.
La galleria, tunnel luminoso di teorie d’archi, crea una spettacolare prospettiva a cannocchiale, impiantata sulla via principale, della lunghezza di almeno 80 metri, precede solitamente la piazza, dove si affaccia la chiesa.
Il rosone, rappresenta l’elemento conclusivo della galleria ed ha lo scopo di enfatizzare la visione prospettica, segnalando il punto di fuga dell’intera struttura. Simbolicamente l’immagine della sua circolarità recupera la concezione del tempo propria della cultura contadina, in cui la storia è un ciclico divenire, un rituale di eterno ritorno. Non è un caso che questo elemento, di origine romanica, sopravviva nell’architettura rinascimentale e barocca locale, di cui un esempio emblematico è il rosone che si apre sulla facciata della Basilica di Santa Croce a Lecce.
Il frontone è un prospetto rettilineo che chiude, o apre, la galleria o la spalliera.
La spalliera, recinto il cui nome sembra derivare dalle spalliere della coltura viticola, arreda perimetralmente la piazza, può avere un andamento rettilineo a ringhiera o curvilineo ad arcate.
La piramide o candelabro, è una struttura decorativa a se stante, di varia foggia, che serve di collegamento tra gli apparati.
La cassarmonica, ospita i musicisti, è l’elemento centripeto della festa, una sorta di tempietto a struttura circolare, sopraelevato e cupolato che termina con un fastigio a lanterna sul modello delle calotte rinascimentali. La centralità della planimetria, poiché centro d’irradiazione della musica, è simbolo d’unione e armonia.

I sapori della festa

Ancora oggi, nonostante le mode culinarie, la domenica della festa si mangia la pasta asciutta, fatta in casa, minchiarieddri (piccoli maccheroncini bucati), le ricchie e le sagne ‘ncannulate col ragù (orecchiette tipo di pasta a forma di padiglione, lasagne ritorte, adatte a raccogliere il ragù) oppure condito con semplice sugo di pomodoro, basilico e peperoncino e, l’immancabile gusto estivo, te lu casu recotta (cacio fresco di latte ovino) col ragù e le “purpette” di carne macinata (polpette impasto con carme macinata mista, uova, formaggio pecorino o parmigiano, aglio, prezzemolo, sale e pepe latte e pane raffermo, fritte e al sugo); è invece uscito di scena il tradizionale piatto del lunedì, che solo i più anziani ricordano con una certa nostalgia, la “cujunara”: un insieme di verdure (patate, zucchine, aromi) formaggio e carne di castrato, un piatto semplice, senza pretese, come attesta il nome!
La festa è occasione privilegiata anche per altre specialità, per i palati più ruspanti, la “scapece” (pesce fritto, pane grattugiato, zafferano e aceto) il cui intenso profumo dilaga nelle strade i si diffonde nell’aria, mischiandosi ai dolci sapori della “cupeta” (nocciole e arachidi farcite con miele e zucchero), delle mendule frische, (mandorle fresche tenute nell’acqua) del cocco e dello zucchero a velo…intramontabili gusti nella storia del sapore popolare.

San Cesario Diacono e Martire…

Quando il giovane Cesario Diacono, forse proveniente dall’Africa, giunse a Terracina (Lazio), durante gli anni dell’Impero di Traiano (98-117 d. C.), Firmino era Pontefice degli Idoli. L’Imperatore aveva disposto che fossero uccisi tutti coloro che non adoravano gli Dei.
Era consuetudine, per il benessere della Repubblica e dei Prìncipi, sacrificare una giovane creatura precipitandola dall’alto di un monte, i resti bruciati e le ceneri deposte nel Tempio.
Cesario con tutta la forza della sua fede si oppose a tali riti e, per questo, fu condannato.
I suoi carnefici, il Pontefice Firmino, Lussurio Primate di Terracina, Leonzio Console della città di Fondi, interrogarono il giovane Cesario che, con coraggio, affermò essere servo di Gesù Cristo. Le sue preghiere fecero crollare il Tempio sotto le cui macerie rimase vittima Firmino. Lussurio e Leonzio, non cedettero a tale forza miracolosa e condussero al supplizio il giovane. Cesario “macero e nudo assistito solo dall’angelo del Signore, che ne aveva preso cura dì e notte, fu condotto dai soldati nel Foro”, mentre chiedeva grazie al Signore una luce, lo avvolse dall’alto.
Leonzio, esterrefatto si convertì e, prima di morire, chiese di essere battezzato. Lussurio, nonostante gli eventi miracolosi, condannò ugualmente Cesario e, insieme con lui, Giuliano, il sacerdote che aveva impartito la comunione a Leonzio. Cesario predisse che Lussurio sarebbe rimasto vittima del morso di un aspide. Così avvenne.
Nel primo di Novembre dell’anno 107 d. C. Cesario e Giuliano furono rinchiusi in un sacco e gettati in mare. I loro corpi, spinti dalla corrente, giunsero nel Lido, nei pressi di Terracina, dove Lussurio, moribondo per il morso dell’aspide, vide con i suoi occhi portare in cielo, da un coro di angeli, i due corpi Beati.
Le loro spoglie, sepolte nei giorni seguenti, furono subito meta di pellegrinaggi e motivo di nuove conversioni.
I resti di San Cesario sono conservati a Roma sotto l’altare maggiore nella Basilica di S. Croce in Gerusalemme.

… e la tradizione iconografica

La tradizione iconografica relativa a San Cesario, lo rappresenta in abiti talari di Diacono, con la mano destra benedicente e, nella mano sinistra, il libro e la palma del martirio; ai suoi piedi un paesaggio urbano.
Una pregevolissima effigie è quella del mezzobusto ligneo, di sicura attribuzione a Nicola Fumo (scultore napoletano del XVII secolo), in cui il giovane Santo è ritratto in un atteggiamento spontaneo e realistico con la mano destra appoggiata sul libro e la mano sinistra al petto. Restaurata negli anni Ottanta, la statua, già nella Chiesa Matrice sull’altare del Santo, datato 1697, è attualmente conservata nel Museo Provinciale “Sigismondo Castromediano” di Lecce.
Il simulacro in argento (106×64, peso Kg. 60 più base originale di un quintale), di fattura napoletana, risalente alla seconda metà del XVIII secolo, è collocato nella Chiesa Matrice, è portato in processione; simile al primo nella posa, nelle fattezze si dimostra più accademico, sul capo reca un’aureola di raggi luminosi e corolle di fiori di elegante fattura.
La profonda devozione popolare gli ha dedicato, nel transetto destro della Chiesa Matrice, l’altare in pietra leccese e stucchi dorati (1697), con un coevo dipinto ad olio (240×160) che lo raffigura in gloria, di scuola locale. Inoltre, una sua statua lapidea campeggia nel fastigio della facciata della stessa Chiesa; ancora la sua immagine, in vetri policromi, decora la monofora della controfacciata, soprastante l’organo.

Per ricordare…

237 a. C. sorge il centro abitato, di fondazione romana, Cesareo, da Cesare Augusto;
107 d. C. anno del martirio di Cesario, sotto l’Imperatore Traiano e diffusione del culto; il nome latino dell’abitato viene sostituito;
435 d. C. anno del miracolo a Galla Placidia, figlia dell’Imperatore Valentiniano II, e trasferimento della Santa Reliquia a Roma;
1061 il Papa Alessandro II, già vescovo di Lucca, collocò nella medesima città, “un braccio intiero di San Cesario che aveva portato da Roma”;
1532 il paese risulta diviso in tre casali sotto le direttive di tre proprietari distinti;
1623 iniziano i lavori per la riedificazione della Chiesa Matrice, terminati nel 1687 e nel 1704 la chiesa viene consacrata;
1624/25 San Cesario diventa proprietà del Duca Vaaz De Andrada;
1671 I Marulli diventano i nuovi proprietari di San Cesario;
1697 risale l’erezione nel transetto destro dell’altare lapideo nella Chiesa Matrice intitolato al Santo e il dipinto su tela che lo raffigura;
1700 avviene l’unificazione dei tre casali in un unico nucleo governato dai Marulli;
1724 D. Ettore Marulli de’ Duchi di San Cesario in Terra d’Otranto, per mezzo del Cavalier D. Domenico Gardini di Lucca dell’Ordine Gerosolimitano, ottenne, dai PP. Abati di quel Monastero, una “porzione” di osso del braccio di San Cesario, tra gli otto che in quella chiesa si conservavano, fu collocata in un ostensorio d’argento. Da allora, ogni anno si festeggia l’anniversario della traslazione della Santa Reliquia dal Palazzo Ducale alla Chiesa Matrice;
1820 viene edificato l’orologio municipale nella Piazza XX Settembre;
1880 il Comune acquista dai Duchi Marulli il Palazzo Ducale che ne diviene la sede;
1897 la statua del Santo nel fastigio della Chiesa Madre è danneggiata da un violento nubifragio;

Alcune fonti…

Novena e Triduo in onore di San Cesario Diacono e Martire, protettore di San Cesario in Terra d’Otranto con la relativa vita, approvato dall’autorità ecclesiastica, Lecce, 1895 tipografia G. Campanella e Figlio pp. 18-27;
Silvia Carandini, La festa barocca a Roma, Roma 1976;
G. B. Bronzini, Accettura – il Contadino – l’Albero – il Santo, Galatina 1979;
Maria Grazia Martina, Rilevazione della cultura popolare locale: il Santo e la festa del proprio paese; seminario di Storia delle Tradizioni Popolari della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Lecce Anno Accademico 1979-’80, inedito;
AA.VV., San Cesario di Lecce: Storia – Arte – Architettura, Galatina, 1981;
Comune di San Cesario di Lecce, Primi restauri a San Cesario, 1982;
Maria Grazia Martina, Altari lapidei a Lecce e nella Diocesi, Tesi di Laurea, Lecce, Anno Accademico 1982-’83;
Giovanni Giangreco, Le luminarie nel Salento, Erreci ed.;
Pier Luigi Erario, 2000 e più…luci per le feste. Le luminarie salentine;
Gianfranco Coppola, La fiera di San Giuseppe della Stella, Noi, Comunità, Aprile 2001;
Bollettino a cura del Comitato Feste Patronali edizione 2000 e 2001;
Gazzetta del Mezzogiorno 20 e 21 Luglio 2001.

Ultimo aggiornamento

8 Marzo 2021, 17:23